Angioplastica renale: migliore per il trattamento dell’ipertensione o per il salvataggio della funzionalità renale?

L’angioplastica della stenosi dell’arteria renale è stata ampiamente utilizzata negli ultimi due decenni per il trattamento dell’ipertensione renovascolare e, più recentemente, per preservare la funzione renale compromessa. Un ampio corpo di prove si è accumulato indicando che questo approccio è di gran lunga il più conveniente per i pazienti con stenosi fibromuscolare in cui il successo tecnico della procedura è seguito da un alto tasso di guarigione (50%) o almeno da un certo miglioramento della pressione sanguigna (40%). Al contrario, nei pazienti con stenosi ateromatosa, il tasso di guarigione è molto basso (8-10% nella migliore delle ipotesi) e il tasso di miglioramento è compreso tra il 40 e il 50% indipendentemente dal fatto che la stenosi sia trattata con angioplastica o con impianto di stent. Pertanto, prima di sottoporsi a procedure che non sono prive di effetti collaterali potenzialmente gravi, questi pazienti devono essere accuratamente studiati per selezionare quelli in cui il beneficio supera effettivamente i rischi. Gli studi che studiano gli effetti dell’angioplastica sulla funzione renale sono meno numerosi di quelli che riguardano gli effetti sulla pressione sanguigna e, nella maggior parte dei casi, subiscono la limitazione dell’utilizzo dei livelli di creatinina sierica come unico marker delle variazioni della velocità di filtrazione glomerulare indotta dalla procedura. Queste indagini hanno dimostrato che un certo miglioramento può essere raggiunto in un terzo dei pazienti, con un altro terzo che ha livelli non modificati di creatinina al follow-up. Le tecniche radioisotopiche, che consentono una valutazione più precisa e separata della funzione dei due reni, sembrano essere un’alternativa promettente per lo studio degli effetti dell’angioplastica; in effetti, studi preliminari che si sono avvalsi di queste metodologie hanno dimostrato che la funzione del rene stenotico può essere salvata invertendo lentamente i molteplici meccanismi con cui l’ischemia cronica danneggia il rene.

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