Frontiers in Human Neuroscience

Introduzione

Merleau-Ponty (francese fenomenologica filosofo, nato nel 1908 e morto nel 1961) si riferisce all’abitudine, in diversi passi della sua Fenomenologia della Percezione come un problema rilevante nella sua filosofico-fenomenologica posizione. Attraverso la sua esplorazione di questo problema spiega sia il carattere pre-riflessivo che il nostro legame originale con il mondo ha, sia il tipo di “comprensione” che il nostro corpo sviluppa rispetto al mondo. Queste due caratteristiche dell’esistenza umana hanno una stretta relazione con la visione di una mente incarnata sostenuta da Gallagher e Zahavi nel loro lavoro The Phenomenological Mind: An Introduction to Philosophy of Mind and Cognitive Science. Merleau-Ponty utilizza concetti come quelli del corpo vissuto o proprio e dello spazio vissuto per enfatizzare, da una prospettiva in prima persona, la co-penetrazione che esiste tra soggetto e mondo.

Gallagher e Zahavi hanno riacquistato l’esperienza della fenomenologia, in particolare quella di Merleau-Ponty e Sartre, per contribuire allo sviluppo delle scienze cognitive. Attraverso l’approccio fenomenologico alla realtà dell’abitudine, una nuova comprensione del corpo diventa possibile per noi, in modo tale che diventi caratterizzato “come soggetto, come sperimentatore, come agente” e allo stesso tempo possiamo capire “il modo in cui il corpo struttura la nostra esperienza” (Gallagher e Zahavi, 2008). Inoltre, l’idea di una comprensione pre-riflessiva è concepita da questi autori come un modo per confutare quelle spiegazioni introspettive o riflessive che derivano dalla tradizione cartesiana e che sono promosse da alcuni autori contemporanei (vedi, ad esempio, Dennett, 1991; Price e Aydede, 2005).

In questo articolo propongo di spiegare il ruolo che habit gioca nella fenomenologia di Merleau-Ponty e l’uso che Gallagher e Zahavi fanno della sua teoria nel loro lavoro sulla scienza cognitiva. L’obiettivo di questi autori nel lavoro sopra menzionato va oltre quello di un’analisi dell’abitudine: vogliono dimostrare che “la fenomenologia affronta problemi e fornisce analisi che sono cruciali per la comprensione della vera complessità della coscienza e della cognizione”, e quindi invertire la situazione contemporanea in cui questa prospettiva è spesso assente dai dibattiti attuali (Gallagher e Zahavi, 2008). Per questo motivo, la comunità neuroscientifica potrebbe conoscere una prospettiva più unificata del comportamento umano. La spiegazione dell’abitudine fornita da Merleau-Ponty mostra un tipo di conoscenza del corpo che non può essere compresa esclusivamente dai processi neurologici.

Questo documento potrebbe fornire alla comunità neuroscientifica una prospettiva più unificata del comportamento umano. La spiegazione fornita da Merleau-Ponty dell’abitudine mostra una sorta di conoscenza corporea che non può essere chiarita solo da processi neurologici.

Coscienza incarnata

Secondo Merleau-Ponty, non esiste una dura separazione tra condotta corporea e condotta intelligente; piuttosto, c’è un’unità di comportamento che esprime l’intenzionalità e quindi il significato di questa condotta. Nelle abitudini, il corpo si adatta al significato previsto, dandosi così una forma di coscienza incarnata. Infatti, per il nostro autore, l’esistenza corporea costituisce una terza categoria che unifica e trascende quella fisiologica e psicologica (cfr. Merleau-Ponty, 2012; vedi anche Merleau-Ponty, 1964).

Per questo motivo, Gallagher e Zahavi sostengono che la filosofia di Merleau-Ponty incorpora il corpo come “un principio costitutivo o trascendentale, proprio perché è coinvolto nella possibilità stessa dell’esperienza” (Gallagher e Zahavi, 2008). Dal punto di vista della scienza cognitiva, propongono che “la nozione di una mente incarnata o di un corpo mentale, è destinata a sostituire le nozioni ordinarie di mente e corpo, entrambe derivazioni e astrazioni” (Gallagher e Zahavi, 2008). Notano che, confermando la priorità del corpo, il fatto biologico della posizione verticale del corpo umano ha conseguenze nella percezione e nell’azione della persona (cfr. Gallagher e Zahavi, 2008)1.

Abitudine e comprensione del Mondo

Merleau-Ponty spiega che il corpo umano vissuto si riferisce a uno spazio che è anche vissuto, cioè che è già incorporato nel mondo inteso come orizzonte della sua venuta. Secondo questa visione, l’abitudine presuppone una forma di” comprensione ” che il corpo ha del mondo in cui svolge le sue operazioni. Un’intenzionalità operante (fungierende Intentionalität) è stabilita con il mondo, usando la terminologia di Husserl (vedi Merleau-Ponty, 2012). Cioè, il soggetto corporeo è inserito in un mondo che provoca certe domande o problemi che devono essere risolti. Pertanto, si può parlare di una motivazione da parte del mondo, anche se non di una necessità, perché la risposta non è meccanica o determinata2. Tra il movimento del corpo e il mondo, non si stabilisce alcuna forma di rappresentazione, ma piuttosto il corpo “si adatta” all’invito del mondo (cfr. Merleau-Ponty, 2012). Sulla base di questa idea di Merleau-Ponty, Gallagher e Zahavi aggiungono: “L’ambiente richiama uno specifico stile del corpo in modo che il corpo lavori con l’ambiente e sia incluso in esso. La postura che il corpo adotta in una situazione è il suo modo di rispondere all’ambiente” (Gallagher e Zahavi, 2008). Queste affermazioni sono supportate da studi che dimostrano che il sistema nervoso non elabora alcuna informazione che non procede dalla corporeità (cfr. Zajac, 1993; Chiel e Birra, 1997).

L’abitudine ha una relazione diretta con questa forma di dialogo tra ambiente e soggetto. Il suo ruolo è quello di stabilire nel tempo quei comportamenti o forme di condotta che sono appropriati per rispondere agli inviti dell’ambiente. Merleau-Ponty, nello stabilire la radice etimologica del termine “abitudine”, nota che la parola ha afferma una relazione con ciò che è stato acquisito dal soggetto come un possesso, che nel caso del corpo è conservato come uno schema corporeo dinamico (Merleau-Ponty, 2012). Grazie all’abitudine, la persona stabilisce relazioni appropriate con il mondo che la circonda senza bisogno di alcun ragionamento preventivo, ma piuttosto in modo spontaneo o immediato (cfr. Merleau-Ponty, 2012). Gallagher e Zahavi si riferiscono anche a questa forma di comprensione pre-riflessiva, relazionandola alla propriocezione, cioè., quelle sensazioni con cui sappiamo dove e come è il nostro corpo, e che sono nella nostra coscienza in modo tacito (cf. Gallagher e Zahavi, 2008; vedi anche Legrand, 2006) 3. Questa prospettiva consente loro di prendere le distanze da interpretazioni rappresentazionaliste—per esempio, quelle di Damasio (1999) e Crick (1995), tra le altre—che non riconoscono che la percezione è significativa in sé (cfr. Gallagher e Zahavi, 2008)

Possiamo parlare di un impegno del corpo e del mondo, in cui si crea una relazione che funge da base o terreno per il resto delle azioni del soggetto, e che gli permette di essere particolarmente “a casa”, a suo agio, in grado di muoversi in modo orientato in un dato spazio (cfr. Talero, 2005; Merleau-Ponty, 2012). Proprio come notano Gallagher e Zahavi, questa connessione con il mondo non significa solo conoscere l’ambiente fisico in cui si trova il corpo, “ma essere in rapporto con circostanze che sono corporalmente significative” (Gallagher e Zahavi, 2008).

Corpo abituale ed effettivo

Secondo Merleau-Ponty, il carattere situato della persona spiega che esiste, allo stesso tempo, un’esistenza “generale” e un’esistenza che è legata all’efficacia dell’azione, e che possiamo chiamare “personale”.”L’essere ancorati al mondo fa sì che la persona rinunci a una parte del suo protagonismo perché possiede già una serie di assuefazione. In questo contrappunto tra il generale e il protagonista, si verifica “questo avanti e indietro dell’esistenza che a volte si lascia esistere come corpo e talvolta si porta in atti personali” (Merleau-Ponty, 2012). Merleau-Ponty distingue il corpo abituale-quello dell’esistenza generale e pre—riflessiva—dall’attuale—quello dell’esistenza personale e riflessiva-comprendendo che entrambi si co-penetrano sempre l’un l’altro. Egli spiega che nei comportamenti di persone malate di mente o con danni cerebrali si rompe il nesso tra il corpo abituale e quello reale (cfr. Merleau-Ponty, 2012). In questi casi, la persona può riprodurre determinati movimenti abituali, ma non quelli che richiedono una comprensione effettiva della situazione. Ad esempio, una persona può eseguire movimenti come toccare il naso con una mano, ma non può rispondere a un ordine di toccare il naso con un righello. Al contrario, nel soggetto non patologico non vi è alcuna rottura tra le due forme di movimento, poiché egli è in grado di cogliere questa analoga forma di movimento verso il naso che il malato non può raggiungere (cfr. Merleau-Ponty, 2012). La persona sana è in grado di andare e venire dall’abituale all’attuale. Lui o lei è in grado di riadattare l’abituale al reale. Il mondo appare al soggetto sano come incompiuto, offrendogli una serie di possibilità tali che l’esperienza “è modellata dall’insistenza del mondo tanto quanto dai miei interessi incarnati ed enattivi” (Gallagher e Zahavi, 2008).

Il primato dell’azione pratica e la comprensione del significato

Nel legame del soggetto con il mondo, l’azione efficace e pratica ha il primato. Nelle parole del nostro filosofo, c’è sempre “un altro sé che si è già schierato con il mondo, che è già aperto a certi suoi aspetti e sincronizzato con essi” (Merleau-Ponty, 2012; vedi anche Talero, 2005). Merleau-Ponty esprime spesso la stretta relazione tra corpo e mondo con il termine “abitare”, come riferimento a ciò che è conosciuto dal corpo e che si traduce in una conoscenza di cosa fare con un oggetto senza alcuna riflessione in mezzo (cf. Merleau-Ponty, 2012)4. Gallagher e Zahavi corroborano queste affermazioni con ricerche che mettono in relazione percezione e cinestesia, così come con la “teoria enattiva della percezione” (vedi Varela et al., 1991). Nei loro studi, mostrano che la percezione non è una ricezione passiva di informazioni, ma implica invece l’attività, in particolare il movimento del nostro corpo5.

Merleau-Ponty spiega che il comportamento abituale nasce sulla base di un insieme di situazioni e risposte che, pur non essendo identiche, costituiscono una comunità di significato (cfr. Merleau-Ponty, 2012). Questo è possibile perché il corpo “comprende” la situazione di fronte alla quale deve agire. Ad esempio, nel caso di abitudini motorie, come la danza, il corpo “intrappola” e “capisce” il movimento. Ciò si spiega con il fatto che il soggetto integra alcuni elementi di motilità generale che gli permettono di cogliere ciò che è essenziale per la danza in questione e di eseguirla con una facilità che si esprime nella padronanza del corpo sui movimenti (cfr. Merleau-Ponty, 2012). L’abilità acquisita ” porterà a prestazioni senza un monitoraggio esplicito del movimento corporeo; l’abilità diventa pienamente incarnata e incorporata nel contesto appropriato ” (Gallagher e Zahavi, 2008). Questa corporealizzazione dell’abitudine concorda pienamente con l’idea di Merleau-Ponty che il corpo è un correlato del mondo: “L’abitudine esprime il potere che abbiamo di dilatare il nostro essere nel mondo, o di alterare la nostra esistenza attraverso l’incorporazione di nuovi strumenti” (Merleau-Ponty, 2012). Gallagher e Zahavi riprendono da Merleau-Ponty questa comprensione non automatica degli atti abituali che, pur non richiedendo un’intenzionalità espressa, fanno comunque parte dell’intenzionalità operativa che è stata menzionata all’inizio di questo articolo (cfr. Gallagher e Zahavi, 2008). Citando Leder, affermano: “Un’abilità è finalmente e pienamente appresa quando qualcosa che una volta era estrinseco, afferrato solo attraverso regole esplicite o esempi, ora arriva a pervadere la mia corporeità. Le mie braccia sanno nuotare, la mia bocca può finalmente parlare la lingua ” (Leder, 1990).

Gallagher e Zahavi sono in grado, nel corso del loro libro, di dimostrare l’errore di quel naturalismo che difende la scienza naturale oggettiva come l’unico modo legittimo di comprendere la mente (cfr. Gallagher e Zahavi, 2008; un esempio, tra gli altri, di questa postura si trova in Sellars, 1963 e in Dennett, 1991).6 Al contrario, essi sostengono che vi è una reciproca influenza tra scienza e fenomenologia, proprio come Varela et al. (1991) lo ha capito attraverso la sua neurofenomenologia basata su aspetti della fenomenologia della percezione di Merleau-Ponty (cfr. Gallagher e Zahavi, 2008; vedi anche Gallagher, 1997).

Dichiarazione sul conflitto di interessi

L’autore dichiara che la ricerca è stata condotta in assenza di rapporti commerciali o finanziari che potrebbero essere interpretati come un potenziale conflitto di interessi.

Note in calce

1. ^CF. anche le opere che questi autori citano di Straus (1966); Lakoff e Johnson (1980); Lakoff e Núñez (2001).

2. ^CF. Merleau-Ponty (2012). Nel cap. IV dell’Introduzione, intitolata “Il campo fenomenico”, spiega la comunicazione vitale con il mondo che ci viene data attraverso la sensazione e la percezione.

3. ^ Gallagher e Zahavi mostrano che Sartre condivide anche con Merleau-Ponty l’idea di essere il proprio corpo, piuttosto che possederlo; cfr. Sartre (1956) e Merleau-Ponty (2012). In quest’opera afferma: “Ma io non sono di fronte al mio corpo, sono nel mio corpo, o meglio sono il mio corpo.”

4. ^ Per un’analisi più dettagliata, vedi Kelly (2007).

5. ^Queste idee, che erano già presenti nel pensiero di Husserl (1970), sono riprese da autori come Noë (2004); Gibbs (2006).

6. ^Questo concetto merita un trattamento che non posso dare in questo articolo, soprattutto dopo la comparsa nel 1999 del libro Naturalizzare fenomenologia.

Chiel, H. J., e birra, R. D. (1997). Il cervello ha un corpo: i comportamenti adattivi emergono dalle interazioni del sistema nervoso, del corpo e dell’ambiente. Tendenze Neurosci. 20, 553–557. doi: 10.1016 / S0166-2236(97)01149-1

Testo integrale CrossRef

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Testo integrale CrossRef

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